sabato 14 marzo 2009

CALUNNIA E DIRITTO DI DIFESA

Definirei il delitto di Calunnia un delitto facile; e lo farei per due ragioni.
La prima, perché ha ormai raggiunto un punto interpretativo sufficientemente stabile (aspetto di notevole conforto per chi si accinge ad esaminarlo). La seconda, perché lo si incontra nella pratica con la facilità con cui si nota una louis vuitton tra le mani di una signora. Ogni tanto ne sbuca una, tutte uguali e banali per chi le vede ma tutte diverse e originali per chi le porta.Al di là delle metafore, l’aspetto più interessante e problematico di questa fattispecie è sempre stato, come tuttora resta, il controverso rapporto che lega Calunnia e diritto di difesa.
Una possibile interferenza fra la condotta della Calunnia e l’esercizio del diritto di difesa ha ragione di prospettarsi a causa della corrente interpretazione estensiva della nozione di “denuncia” utilizzata all’interno della previsione normativa di cui all’art. 368 c.p..Secondo l’orientamento assolutamente dominante, infatti, si considera l’elemento “denuncia” comprensivo di qualsiasi dichiarazione di contenuto accusatorio comunque destinata all’Autorità giudiziaria o ad altra autorità che a questa abbia l’obbligo di riferire.Pertanto nulla esclude la rilevanza, ai fini della Calunnia, anche delle dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato durante il suo interrogatorio, o più in generale nel corso del procedimento che lo riguarda, e costituenti in via di principio estrinsecazione del diritto di difesa.In altri termini l’indagato o l’imputato, nel respingere gli addebiti avanzati contro di lui, potrebbe pronunciare affermazioni penalmente rilevanti ex art. 368 c.p. in quanto qualsiasi falsa dichiarazione di contenuto accusatorio, destinata all’Autorità giudiziaria, può costituire un pericolo per l’interesse tutelato dall’incriminazione della Calunnia.Nell’ambito del rapporto fra delitto di Calunnia e diritto di difesa si è in presenza di un conflitto tra due diversi interessi egualmente protetti dall’ordinamento.Da un lato, infatti, vi è l’esigenza dell’imputato di tutelare la propria libertà personale durante il processo anche mentendo, quale espressione massima del diritto di difesa riconosciuto dall’ art. 24 c. 2 della Costituzione ed operante nel processo penale come estrinsecazione dell’art. 51 c.p. D’altro lato, invece, si pone l’interesse collettivo a ché la corretta Amministrazione della giustizia non sia fuorviata da false accuse; interesse cui è connesso, peraltro, il diritto di terzi a non subire attacchi infondati pur se espressi nel tentativo di respingere l’addebito di fatti di reato.Chiariti i termini della delicata questione, quindi, si è imposta l’attenta ricerca di un’equilibrata soluzione.Orbene, secondo un primo e consolidato orientamento giurisprudenziale non è possibile escludere la sussistenza del delitto di Calunnia quando la condotta vietata sia stata posta in essere da un indagato o imputato per respingere le accuse mosse nei suoi confronti, essendo evidente che nessun rilievo scusante può avere l’intento difensivo nel caso di false incolpazioni tendenti a screditare i testimoni d’accusa.In sostanza, secondo tale orientamento, il problema del rapporto fra diritto di difesa e delitto di Calunnia è risolto sostenendo la piena compatibilità fra intento difensivo e dolo di Calunnia, concludendo nel senso che “il dolo del reato di Calunnia non è escluso dalla volontà di scagionarsi da un’accusa, essendo sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo del delitto in discorso la consapevolezza di mettere in moto, con la propria condotta un meccanismo inquisitorio nei confronti di soggetto innocente”.Tuttavia, al di là di tale compatibilità, l’esercizio del diritto di difesa può incidere fortemente sull’elemento soggettivo del delitto in esame, fino a determinare la mancanza dello stesso.Per meglio dire, ammessa l’esistenza di un conflitto d’interessi fra garanzie difensive e beni giuridici tutelati dall’art. 368 c.p., l’esercizio del diritto di difesa rileva quale possibile circostanza d’esclusione della sussistenza del delitto di Calunnia, non in quanto atteggiamento della volontà incompatibile con il dolo del reato di cui all’art. 368 c.p., bensì quale possibile causa di giustificazione della condotta, ex art. 51c.p.In questo senso sono ormai decisamente orientate sia la dottrina che la giurisprudenza prevalenti.
In particolare l’eccellentissima Corte pacificamente ritiene che l’imputato possa, nel corso del procedimento instaurato a suo carico negare, anche mentendo, la verità delle testimonianze o delle dichiarazioni a lui sfavorevoli.In tal caso l'accusa di falsa testimonianza o di Calunnia, implicita in tale condotta, integra l'esercizio del diritto di difesa e, pertanto, non è punibile ai sensi dell'art. 51 c.p.
Si precisa però che quando l'imputato, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale condotta e la confutazione dell'imputazione, assuma ulteriori iniziative volte a riversare sull'accusatore (di cui conosce l'innocenza) specifiche accuse, e ne derivi la possibilità dell'inizio di un procedimento penale, si è al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e ricorrono, invece, tutti gli elementi costitutivi del delitto di Calunnia.Il problema allora diventa quello di chiarire quale sia l’ambito e i limiti di applicazione di questa causa di giustificazione, vale a dire quali comportamenti e dichiarazioni difensive dell’imputato la stessa valga a legittimare.Su tale questione la giurisprudenza è giunta ad una prima conclusione secondo cui il diritto di difesa giustificherebbe mendaci dichiarazioni solo nei limiti dell’attenuazione o dell’esclusione della propria responsabilità senza estendersi fino alla formulazione di false accuse a carico di persone innocenti.Sicché sarebbe legittima solo la condotta meramente negativa di chi contesti l’accusa, non quella positiva di chi formuli un’accusa a sua volta.
Tuttavia questo primo orientamento della Suprema Corte ha rapidamente mostrato la sua insufficienza. Difatti anche quando l’imputato si limita a negare la veridicità dell’accusa attribuisce implicitamente il reato di Falsa testimonianza o di Calunnia al teste.Da tale riflessione ha preso avvio un nuovo e più soddisfacente orientamento secondo cui “In tema di rapporto tra diritto di difesa e accuse calunniose, nel corso del procedimento instaurato a suo carico l'imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ed in tal caso l'accusa di Calunnia, implicita in tale condotta, integra legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità penale in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p. Quando però l'imputato, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell'imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure si conosce l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicché da ciò derivi la possibilità dell'inizio di una indagine penale da parte dell'autorità, si è al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e si realizzano, a carico dell'agente, tutti gli elementi costitutivi del delitto di Calunnia”.
Assunto, quindi, il diritto di negare l’addebito come contenuto essenziale e inviolabile del diritto di difesa, ne vengono giustificate tutte (e sole) quelle affermazioni costituenti mezzo necessario per respingere la testimonianza contraria.
Né fa differenza se la reazione accusatoria sia implicita nella negazione dell’addebito, ovvero sia esplicita, stante l’equivalenza di contenuto delle due ipotesi.E quindi, ad esempio, non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che, in sede di interrogatorio, definisce, sia pure per implicito, falso un atto di polizia giudiziaria solo per quanto attiene alla veridicità della denuncia a suo carico in essa contenuta.Egli pertanto non è punibile a titolo di Calunnia in danno dell'autore di detto atto di polizia giudiziaria, stante la presenza di una causa di esclusione della pena in forza del legittimo esercizio di difesa, purché questo si esplichi quale unico e necessario mezzo di confutazione dell'imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l'accusa (implicita od esplicita) formulato dall'imputato e l'oggetto della contestazione nei suoi confronti.In tali casi, dove l’accusa di falsità è solo una conseguenza necessaria della legittima contestazione dell’imputazione da parte dell’imputato, si ritenere scriminata dall'esercizio del diritto di difesa la condotta calunniosa dell'imputato quando questi rivolge ai suoi accusatori rilievi non determinati e circostanziati e comunque non esorbitanti dall'economia difensiva, vale a dire strettamente correlati all'esigenza di difendersi dall'imputazione.
In definitiva, è possibile “difendersi mentendo” se si nega che sia vera l’accusa, ma non si può consentire all’imputato di costruire un castello di menzogne per togliere credibilità all’accusatore trasformandolo in accusato di un reato (pur sapendolo innocente).Insomma, vada pure la louis vuitton, ma attenzione a non esagerare!