sabato 28 marzo 2009

L'ISTITUTO DEL TRUST NELL'ORDINAMENTO ITALIANO

Di origine anglosassone, il Trust può essere sinteticamente definito come un istituto giuridico in forza del quale il soggetto che lo costituisce, sia con atto tra vivi che mortis causa, pone dei beni sotto il controllo di un Trustee, affinché agisca nell’interesse di un beneficiario o per fini specifici, e comunque secondo le disposizioni impartite.Ne consegue che il Trustee acquisisce su una determinata massa di beni, definita trust propiety, un diritto di proprietà accompagnato da precisi obblighi di amministrazione e di gestione secondo i termini del Trust.Difatti la peculiarità di tale istituto consiste nella circostanza che i beni oggetto del trust, benché intestati a nome del trustee non entrano a far parte del patrimonio di quest’ultimo, ma ne costituiscono invece una massa nettamente distinta; un patrimonio separato e autonomo dal patrimonio personale del trustee. Pertanto la trust propiety non potrà mai essere aggredita dai creditori del trustee, così come tali beni non faranno mai parte né della successione né del regime patrimoniale che lo riguarda.Tale situazione giuridica, tramite la quale uno stesso bene è amministrato da chi ne è titolare e, contemporaneamente, goduto da chi ne è considerato beneficiario, appare di non facile comprensione alla luce dei principi di civil law, in virtù dei quali lo status di proprietario non è concettualmente sdoppiabile in due situazioni giuridiche, essendo la proprietà, di regola, un diritto reale non scindibile.
Questa forma di sdoppiamento della proprietà (quella personale del trustee e la trust propiety) rappresenta a ben vedere una deroga al principio, invalso nel nostro ordinamento sin dal tempo dei romani, della tipicità dei diritti reali. Si introduce per tale via infatti un nuovo diritto reale fiduciario: un diritto di proprietà gravato dal vincolo fiduciario.Appare del tutto evidente, inoltre, la volontà legislativa di creare una massa di beni soggetta a regole particolari con deroga anche del divieto di segregazione patrimoniale di cui al secondo comma dell’art. 2740 c.c.; deroga generalmente consentita peraltro dall’inciso di chiusura dello stesso secondo comma ai sensi del quale “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.Infatti l’Italia ratificando con la l. n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1 gennaio 1992, la Convenzione adottata all’Aja il 1 luglio 1982 relativa alla legge applicabile al trust ed al loro riconoscimento, ha non solo autorizzato l’operatività nel nostro ordinamento del trust costituito all’estero, ma ha bensì introdotto una vera e propria disciplina generale del trust.In sostanza l’obbiettivo della Convenzione era quello di introdurre nei singoli ordinamenti l’istituto del trust, rendendolo immediatamente operativo anche dove nessuna norma interna lo preveda; obbiettivo che la legge di ratifica ha fatto proprio.Questa conclusione è disapprovata da quella parte della dottrina che esclude l’operatività in Italia del cd. trust interno, cioè di quel trust i cui principali elementi distintivi (costituente, beni in oggetto, beneficiari e trustee) sono collegati al territorio dello stato Italiano.
In particolare, ritenendo che la Convenzione dell’Aja abbia la sola finalità di dirimere il conflitto tra norme, i sostenitori della incompatibilità del trust con il nostro ordinamento sottolineano che il nostro legislatore non ha approntato alcuna legge volta a disciplinare l’istituto in questione ed a regolamentarne l’operatività ma si è limitato ad autorizzare il trust esterno.Tuttavia, sebbene sia incontestabile l’opportunità di un intervento legislativo volto a disciplinare l’istituto del trust in Italia, è evidente che una disciplina non appare indispensabile ai fini del riconoscimento dell’operatività del Trust non solo esterno ma anche interno, dato che la Convenzione consente al costituente di scegliere la legge che preferisce tra quelle degli stati che ne possiedono una.Il principio della libertà di scelta della legge regolatrice del trust è espresso al primo comma dell’art. 6 della Convenzione: “il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta dovrà essere espressa, oppure risultare dalle disposizioni dell’atto che costituisce il trust”. La disposizione in esame quindi non pone alcuna limitazione al costituente, il quale potrà decidere, a seconda della sua mera convenienza o preferenza, quale legge regolerà gli effetti del suo trust ed i rapporti interni scaturenti da questo. Per di più, al secondo comma dell’art. 6, si precisa che “qualora la legge scelta non preveda l’istituzione del trust o la categoria del trust in questione, o non sia stata scelta alcuna legge, tale legge non avrà valore e verrà applicata la legge di cui all’art. 7”, il quale a sua volta stabilisce che “in tali casi il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha più stretti legami”.Altro punto centrale è quello relativo alla trascrivibilità del trust.È evidente infatti la pubblicità del vincolo di trust assume una importanza decisiva ai fini della sua utilità, poiché, qualora il trust abbia ad oggetto beni immobili, l’eventuale impossibilità di renderlo conoscibile rischia di vanificare completamente gli effetti dell’istituto, facendo soccombere il beneficiario nei confronti di qualsiasi avente causa del trustee inadempiente.
Non c’è da stupirsi quindi che la Convenzione dell’Aja sia intervenuta sul punto con una esplicita disposizione; l’art. 12 infatti sancisce che “il trustee che desidera registrare i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo”.
Ciononostante una parte della dottrina non ha mancato di sottolineare l’incompatibilità del trust con il nostro regime di pubblicità immobiliare basato sul numerus clausus degli atti trascrivibili; un sistema che non prevede la proprietà fiduciaria fra gli effetti soggetti a trascrizione. Tale argomentazione, tuttavia, non ha avuto seguito nella giurisprudenza prevalente. I giudici infatti hanno aggirato l’ostacolo del numerus clausus degli atti trascrivibili mediante un ampia interpretazione dell’inciso “trasferimento della proprietà” di cui al n.1 dell’art. 2643 c.c., per poi evidenziare come proprio l’art 12 della Convenzione, introducendo un diritto potestativo in capo al Trustee ad ottenere la trascrizione del vincolo del trust, abbia in sostanza indicato una nuova fattispecie ammessa alla registrazione (cfr. Tribunale di Bologna 12 aprile 2000, e Tribunale di Pisa 22/12/2001). A ben vedere inoltre, l’introduzione dell’art. 2645 ter ha spostato i termini della questione a deciso vantaggio dei sostenitori della compatibilità del trust con l’ordinamento italiano.La citata norma infatti, ammettendo la pubblicità degli atti di destinazione dei beni immobili o mobili registrati per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322 c.c. e precisando che “i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, solo per debiti contratti a tale scopo”, rende possibile, attraverso un vincolo di destinazione, la compressione del diritto di proprietà per interessi meritevoli di tutela, e sopratutto a sua opponibilità ai terzi.In definitiva quindi sulla base della meritevolezza degli interessi si determinerebbe la trascrivibilità, la segregazione e la legittimità del vincolo sul diritto di proprietà.Il trust è uno strumento dotato di notevole flessibilità che, come visto, non contrasta con i principi del nostro ordinamento; al contrario lo arricchisce di deroghe che l’ordinamento stesso opportunamente prevede configurando un istituto innovativo che permette di delineare assetti di interessi difficili da esprimere con gli strumenti tradizionali.